• Sep 29, 2025

Prima della voce... L'ascolto

  • Andrea Tosoni
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Cari amici e care amiche della voce,

oggi mi sono trovato fermo nel traffico mentre cercavo a fatica di raggiungere un noto studio musicale milanese per un lavoro in presenza con un noto cantante che sto aiutando nella preparazione vocale in vista del suo tour.

Clacson, voci alterate, rumori metallici che si intrecciavano in un caos apparentemente insopportabile. Per un attimo ho sentito l’istinto di chiudermi, di innervosirmi. Poi ho provato a fare una cosa diversa: ascoltare davvero.

Ho lasciato che quei suoni mi attraversassero senza giudizio. Ho colto i ritmi, le altezze, i colori. E, quasi senza accorgermene, ho iniziato a intonare piccoli vocalizzi, come a danzare con quella strana orchestra urbana, come a surfare su quelle onde caotiche. Dal brusio è nata melodia. Dal disordine, un inatteso respiro musicale.

Succede lo stesso in cucina, mentre preparo il caffè. L’aroma che si diffonde e il vapore che sale dalla moka hanno sempre per me qualcosa di rituale. A volte, in quell’attimo sospeso, intono una “M” lunga e piena, lasciando che risuoni con l’intenzione: “Ma quanto sarà buono questo caffè!”.
In quel gesto semplice, la voce si accorda al piacere, al presente, all’ascolto.

Sono momenti quotidiani, ma rivelano una verità fondamentale: prima di cantare, bisogna ascoltare.
Ascoltare ciò che ci circonda, ascoltare ciò che si muove dentro di noi, ascoltare il suono stesso della nostra voce che prende forma.

Nel mio cammino ho compreso che la voce non nasce mai da uno sforzo cieco o da un automatismo. Nasce da un atto di presenza. Solo chi sa ascoltare può trovare la strada giusta per far vibrare il proprio suono senza fatica, con naturalezza, con soddisfazione.

Molti pensano che cantare significhi “emettere” o “spingere fuori” la voce. Ma prima ancora di questo c’è un atto più sottile: lasciarsi penetrare dal suono.


Se non imparo ad ascoltare, come posso riconoscere le sfumature della mia voce? Come posso accordarmi con il respiro, con le risonanze del corpo, con l’energia che ogni nota porta con sé?

Ecco perché la pratica vocale non può essere meccanica, ma deve essere consapevole.
Una pratica fatta di attenzione, di piccoli gesti quotidiani, di silenzi che diventano musica. Solo così la voce esce libera, senza sforzo, con quella soddisfazione che nasce quando finalmente non lottiamo contro di lei, ma la lasciamo fiorire.

L’ascolto è la porta.
La pratica consapevole è il cammino.
La voce che vibra autentica è il dono che ci aspetta al termine di questa danza.

La prossima volta che vi troverete in mezzo al rumore del traffico, al borbottio di una moka o al canto del vento, provate a fermarvi. Non per giudicare, ma per ascoltare. Non per reagire, ma per lasciarvi attraversare. Forse scoprirete che la vostra voce era già lì, pronta a nascere da ciò che avete accolto.

PS. Come d’incanto, sono arrivato puntualissimo al mio appuntamento in studio. E quando il fonico mi ha chiesto: come hai fatto ad arrivare puntuale da Varese con il delirio che c’è stamattina? Ho risposto: ho cantato! ;-)

Andrea

Ph. Clément Proust

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